“L’odio contro Riace la sta rendendo più viva i fondi privati ci salveranno”
intervista a Domenico Lucano a cura di Francesco Merlo
“la Repubblica” del 21 ottobre 2018
«Mi hanno reso importante, proprio io che dico tante cazzate, io che sono una testa di minchia». Mimì si tocca la fronte e poi tocca la mia: «Ti dico una cosa che non devi fraintendere. Ricordi padre Puglisi, il prete santo? Quando a Palermo i mafiosi l’hanno ucciso in realtà gli hanno dato la vita».
Dici che ti vogliono uccidere?
«Vedi che non mi capisci? Non vogliono uccidere me, ma Riace. Vorrebbero cancellarne la storia e farla scomparire dentro la sua geografia, in fondo alla montagna calabrese. Ma sta succedendo il contrario. Tutti capiscono che Riace non era mai stata così viva».
Ti è vietata la dimora. Puoi andare dappertutto tranne al tuo paese, dove, comunque, non sei più sindaco perché sei stato sospeso. Quanto ci soffri a vagare come Ulisse, non confinato ma sconfinato?
«Ulisse dici? Vedi, mi infliggono una sofferenza che ha dignità di poesia».
Gli avvocati sono poeti?
«Per favore, scrivi che Antonio Mazzone e Andrea Daqua mi difendono gratis. Mi pagano anche le marche da bollo».
Siamo nella cucina di un appartamento di Caulonia — «me l’hanno prestato per l’esilio» — a dieci minuti d’auto da Itaca, la pietrosa, aspra e dirupata Riace, e Mimì Lucano è circondato da tanti mimìlucanisti. Mi fa l’occhiolino: «Sei finito dentro la storia». È Riace che lo viene a trovare: «Io sono il vecchio complice, il palo della banda» dice con allegria il pittore Tonino Petrolo. C’è l’assessora Maria Spanò che sa come aiutarlo perché «Mimì si confonde nei concetti come prima si confondeva nelle procedure». E poi Kashai, pelle nera e barba bianca, e Bairam Akar, curdo con i verbi all’infinito: «Essere tu il rifugiato politico, tu finalmente riuscire a diventare curdo». Sul tavolo c’è una tovaglia di plastica con un tappeto di molliche recenti.
Mimì parla e straparla con le mani, che alza per disegnare il mondo: «“Coraggio, sindaco”, mi ha detto il pm. Ma ci vuole coraggio quando arriva la paura, e io di cosa potrei avere paura? Della solidarietà che mi arriva da Firenze e da Zurigo, da Napoli e da Parigi, da Vienna e da Palermo, dalla Germania e da Milano?».
È vero che due imprenditori milanesi vorrebbero finanziare Riace, cominciando con il comprare la tua famosa carta moneta?
«Non è il momento di fare nomi, ma ci sono Fondazioni private che offrono aiuto e soldi. Più la colpiscono e più rendono mitica Riace. Come la città di Troia. Riace è il nome di una fiaba, come Cenerentola».
La fiaba degli immigrati che arrivano dal mare e resuscitano un paese morto? «Dovrebbero riprodurre questo modello nelle terre abbandonate del sud, nelle campagne desertificate della Sicilia, e ci vorrebbe un’altra riforma agraria. Dicono che noi abbiamo “distratto” i soldi dell’assistenza. Lo stato versa 35 euro al giorno a immigrato. Hai visto cosa ne fanno nelle periferie di tutta Italia?».
Ho visto a Roma gli immigrati chiusi in palazzoni grigi con il cemento scrostato.
«Li tengono lì dentro a spiare e a farsi spiare dalle finestre. Ogni tanto portano le buste di plastica con il cibo. Li nutrono come si fa con i maiali. Se ci vai, capisci subito come si diventa razzisti e come nasce l’intolleranza dalla povertà, dalla tracimazione rancorosa della “generosità” di ghetto».
Trentacinque euro di odio?
«Con gli stessi 35 euro noi a Riace abbiamo creato il frantoio, i laboratori artigiani, vetro, ricamo, carta, gli aquiloni di Her?t, i vasi di Kabul... e un asilo nido plurietnico, una scuola, presidi medici, un ristorante, le borse-lavoro. E il paese diventa albergo diffuso per accogliere il turismo equosolidale. In una casa ha vissuto Wim Wenders, in un’altra Fiorello... Questa è distrazione o impiego di fondi? Davvero è un sistema criminogeno?».
A Riace gli immigrati non commettono reati?
«Mai successo».
E i tuoi reati?
Mimì mostra i palmi: «Ma quali reati?». Si tocca il cuore, e poi la tasca: «Ci vuole un interesse criminale per commettere reati».
Agita gli indici e i pollici a L: «Ma se non ho niente!». E conta con le dita tutte le cose che non ha:
«Trecento euro in banca, la macchina pignorata da Equitalia, niente casa, persino il telefono è rotto. Toccalo, diventa caldo caldo come un diavolo. Il tecnico mi ha detto: mettilo in frigorifero».
Niente errori?
«Certo che ne ho fatti. Ti ha detto Maria che mi confondo. Ma alla fine tutto torna perché non è vero che sono mezzo cavaliere e mezzo bandito. E i miei pensieri non sono strampalati come vorrebbero i tuoi colleghi che vanno a caccia di pittoresco calabrese. Ti sembro un ignorante? Non sono Pico della Mirandola, ma ho fatto il perito chimico, ho vinto un concorso per insegnare e ho insegnato a Torino. Ho dato 16 materie a Medicina. Mio padre è stato maestro di scuola. Mio fratello è medico. Non mi vesto in sartoria, non ho staff né segretarie, parlo col cuore e a volte mi si affollano i pensieri, perché ne ho tanti. Sono difetti? C’è da riderne?».
Ce l’hai con i giornalisti?
«Questa te la devo dire bene: il Lucano raccontato non esiste, mi chiamo Mimì e non Mimmo e hanno scritto che sono primitivo e naïf. Si infilano nel luogo comune: Lucano è iperbolico e cafone perché un calabrese è sempre un calabrese».
E non è vero?
«Certo, ha un’identità forte: va sino in fondo, ha passioni, esaltazioni individualistiche, accese solitudini, e coltiva l’intelligenza libertaria sin dai tempi di Telesio e di Campanella... Ma hanno identità forti anche i siciliani, i sardi, i toscani, i genovesi, i romani, i napoletani. Solo agli indomiti e ostinati calabresi è riservato il pittoresco? Stasera vado da Fazio: in tv è anche peggio».
E la famosa compagna etiope?
«Mi hanno attribuito figli sbagliati e hanno stabilito che ho una compagna: ma che ne sapete? Io sono separato e vivo da solo, ma sono ancora un uomo. Ho tre figli: con Pina ci siamo sposati giovanissimi. Scrivi che è meravigliosa, anche se, per colpa mia, ci siamo separati. Ora vive a Siena con Eliana, la più fragile, la più sensibile. Poi c’è Martina che studia psicologia e vive con il fratello, Roberto, il grande, che è laureato in Ingegneria informatica e che...».
...non ti ha votato.
«Organizzò il movimento “Scheda bianca per Riace”. E al mio comizio di chiusura intervenne contro di me. Ora è diventato 5 stelle ed è, con me, politicamente severo. Una volta era di sinistra anche lui».
Ma c’era bisogno di inventarsi una moneta con la faccia di Che Guevara?
«Intanto non è una moneta. Si tratta di bonus, di voucher. Se funziona, perché non farlo?».
Anche D’Annunzio a Fiume stampò moneta.
«Il modello di Riace è di sinistra. E su questo non si scherza. Quando arrivò il primo barcone con i curdi noi abbiamo ristrutturato una casa per farne un ristorante. Il proprietario ci disse: compratevelo. Gli rispondemmo: non ci interessa la proprietà privata. Oggi non vuole più vendere e noi gli paghiamo un affitto di 5.000 euro all’anno».
Sei contro la proprietà privata?
«A Riace non serve. È una città libertaria. Il modello è quello delle comuni degli anarchici francesi “Longo Maï”, pacifisti e agricoltori, che vennero qui molti anni fa».
Chi sono i tuoi buoni maestri?
«Bakunin, Proudhon, il pensiero libertario, e poi Pasolini del “Vangelo secondo Matteo”, Franco Basaglia, Peppino Impastato, padre Puglisi, Camillo Torres, i curdi del Pkk, i cristiani della teologia della liberazione. Pedro Casaldáliga Plá diceva: “Il socialismo può essere cristiano, il capitalismo e il neoliberismo no”».
Credi in Dio?
«A volte sì, a volte no».
E i tuoi cattivi maestri?
«Quelli che concretamente mi hanno portato sulla cattiva strada sono l’ex vescovo di Locri, monsignor Bregantini, l’ex sindaco comunista di Rosarno Peppino Lavorato e, prima ancora, Natale Bianchi, un ex prete sospeso a divinis, che fu mio insegnate di religione e ha tutt’oggi una vita travagliata. E poi Tonino Perna, il nostro “amico intelligente”. Insegna Sociologia Economica a Messina e a lui devo l’embrione del modello Riace. Fu suo il primo esperimento, a Badolato, nel
1997: un fallimento che ci servì da lezione. Poi, da presidente del Parco dell’Aspromonte, nel 2003 Tonino fece stampare una moneta cartacea. Lo abbiamo imitato: sono pezzi di carta risolutivi quando i ritardi di pagamento ti farebbero fallire. Nel mondo ci sono già 5.000 monete locali».
Per partire con il modello Riace dove avete preso il danaro?
«Ottenemmo un prestito di cento milioni di lire dalla Banca Etica perché in consiglio d’amministrazione c’era appunto Tonino Perna. Con il tempo li restituimmo tutti».
Da sindaco ti sei mai fatto prendere la mano?
«Ho sbagliato ad allargare troppo il modello, ad esportarlo fuori dal centro storico attirando così qualche speculatore. Perna mi aveva consigliato la prudenza, ma c’era il prefetto Morcone, proprio quello che ora dice che io deliravo, che da un lato mi copriva pubblicamente di lodi e dall’altro mi “allattava” il cuore per piazzare gli immigrati che nessuno voleva: “Prendili, ti prego”, e non c’era tempo per niente. Ora mi rimproverano di avere assegnato, senza gara, la raccolta dei rifiuti alla sola cooperativa che aveva un asino: le strade sono strette e le auto non passano. La gente legge “appalto per i rifiuti” e pensa alle grandi discariche, non al mio asinello spazzino».
Cosa succeederà?
«Immagino che revochino questo provvedimento sadico che non mi permette di tornare a casa mia».
Ti senti vittima del clima politico?
«Non mi ha certo arrestato Salvini, non ha questo potere. Ma anche la giustizia, si sa, è figlia del suo tempo, dei suoi pregiudizi, della sua politica. E Riace era, anzi è, uno scandalo troppo di sinistra nella brutta Italia di destra che stanno costruendo».