Il grande esperimento
Come forzare un popolo intero a morire di fame.
Uri Avnery
16 Ottobre 2006
Gush Shalom
E’ possibile forzare un popolo intero a sottostare ad una occupazione straniera facendolo morire di fame? E’ certamente una domanda interessante. Tanto interessante che i governi di Israele e degli Stati Uniti, in stretta collaborazione con l’Europa, si sono impegnati in un rigoroso esperimento scientifico per ottenere una risposta decisiva. Il laboratorio per l’esperimento è la Striscia di Gaza e le cavie sono il milione e duecentocinquantamila palestinesi che vivono lì. Per soddisfare gli standard scientifici richiesti innanzi tutto era necessario predisporre il laboratorio.
Questo è stato realizzato nel seguente modo: prima di tutto Ariel Sharon ha sradicato gli insediamenti israeliani che vi erano. Dopotutto non si può eseguire un esperimento corretto con animaletti domestici che girano per il laboratorio. E’ stato fatto con “determinazione e sensibilità” con le lacrime che scendevano a torrenti, i soldati che abbracciavano e baciavano i coloni sfrattati, e ancora una volta si è mostrato come l’esercito israeliano sia il meglio del meglio al mondo.
Con il laboratorio pulito, la fase successiva poteva iniziare: tutte le entrate e le uscite sono state sigillate ermeticamente, per eliminare influenze di disturbo dal mondo esterno. E’ stato fatto senza difficoltà. I vari governi israeliani hanno impedito la costruzione di un porto a Gaza e la flotta israeliana controlla che nessuna nave si avvicini alle coste. Lo splendido aeroporto internazionale, costruito nel periodo di Oslo, è stato bombardato e chiuso. L’intera Striscia è stata chiusa da un muro molto efficace e sono rimasti solo pochi punti di attraversamento, tutti controllati dall’esercito israeliano, tranne uno. Rimaneva un’unica connessione con il mondo esterno: il valico di Rafah verso l’Egitto. Questo non poteva essere chiuso perché il regime egiziano sarebbe stato esposto alla critica di collaborazionismo con Israele. E’ stata trovata una soluzione sofisticata: apparentemente l’esercito israeliano ha lasciato il valico, affidandolo alla supervisione di un team internazionale. I componenti sono bravi ragazzi, pieni di buone intenzioni, ma in pratica totalmente dipendenti dall’esercito israeliano, che sorveglia il valico da una sala di controllo vicina. I supervisori internazionali vivono in un kibbutz israeliano e possono raggiungere il valico solo con il permesso israeliano. In questo modo tutto era predisposto per l’esperimento.
Il segnale d’inizio è stato dato dopo che i palestinesi hanno avuto le loro elezioni democratiche in modo ineccepibile, con la supervisione dell’ex presidente americano Jimmy Carter. George Bush ne era entusiasta: il suo sogno di portare la democrazia nel Medio Oriente si stava realizzando. Ma i palestinesi hanno fallito il test. Invece di eleggere dei “buoni arabi” devoti agli Stati Uniti, hanno votato per dei pessimi arabi, devoti ad Allah. Bush si è sentito insultato. Ma il governo israeliano era in estasi: dopo la vittoria di Hamas, americani ed europei erano disponibili a prendere parte all’esperimento. Si poteva iniziare.
Stati Uniti e Unione europea hanno annunciate il blocco di tutte le donazioni all’Autorità Palestinese, visto che era “controllata dai terroristi”. Contemporaneamente il governo israeliano ha interrotto il gettito di denaro. Per capire il significato di questo gesto: secondo il “Protocollo di Parigi” (gli annessi economici dell’accordo di Oslo) l’economia palestinese fa parte del sistema doganale di Israele. Vale a dire che Israele raccoglie le imposte per tutti i beni che passano attraverso Israele per i territori palestinesi – in realtà non ci sono altri percorsi. Dopo aver dedotto una grassa commissione, Israele è obbligata a versare il denaro all’Autorità Palestinese. Nel momento in cui il governo israeliano rifiuta di consegnare questo denaro, che appartiene ai palestinesi, si tratta in poche parole di un furto alla luce del sole. Ma quando si ruba ai “terroristi” chi protesterà?
All’Autorità Palestinese – sia nella West Bank che nella Striscia di Gaza – questo denaro occorre come l’aria per respirare. Questo fatto richiede qualche altra spiegazione: nei 19 anni in cui la Giordania occupava la West Bank e l’Egitto la Striscia di Gaza, dal 1948 al 1967, non è stata costruita nemmeno una singola fabbrica. I giordani volevano che tutte le attività economiche si svolgessero in Giordania, ad est del fiume, e gli egiziani allo stesso modo hanno trascurato la Striscia. Poi è cominciata l’occupazione israeliana e la situazione è anche peggiorata. I territori occupati sono diventati un mercato di schiavi per le industrie israeliane e il governo militare ha impedito il sorgere di qualsiasi impresa che potesse concettualmente competere con quelle israeliane. I lavoratori palestinesi sono stati costretti a lavorare in Israele per stipendi da fame (per gli standard israeliani). Da questi il governo israeliano deduceva tutti gli oneri sociali imposti ai lavoratori israeliani, senza che i lavoratori palestinesi potessero godere di qualche beneficio sociale. In questo modo il governo derubava questi lavoratori sfruttati di decine di miliardi di dollari che scomparivano da qualche parte nella botte senza fondo del governo. Quando è scoppiata l’Intifada, i capitani dell’industria e dell’agricoltura israeliani hanno scoperto che era possibile andare avanti senza i lavoratori palestinesi. In realtà era anche più conveniente. Lavoratori provenienti dalla Tailandia, Romania ed altri paesi poveri erano disposti a lavorare per salari anche più bassi ed in condizioni al limite della schiavitù. Così i lavoratori palestinesi hanno perso il loro lavoro. Questa era la situazione all’inizio dell’esperimento: l’infrastruttura palestinese distrutta, praticamente senza mezzi di produzione, nessun lavoro per la gente. Dopo tutto uno scenario ideale per il grande “esperimento della fame”.
La realizzazione è cominciata, come si è detto, con il blocco dei pagamenti. Il passaggio fra Gaza ed Egitto è stato praticamente chiuso. Dopo qualche giorno o settimana veniva aperto per qualche ora, per le apparenze, per permettere che qualche malato o morto o moribondo potesse tornare a casa o raggiungere gli ospedali egiziani. I valichi fra la Striscia e Israele sono stati chiusi “per gravi motivi di sicurezza”. Sempre, al momento giusto apparivano “allarmi di un attacco terroristico imminente”. I prodotti dell’agricoltura palestinese destinati all’esportazione marcivano ai valichi. Medicine e generi alimentari non potevano entrare, tranne che per brevi periodi, di tanto in tanto, solo per le apparenze, ogni volta che un personaggio importante all’estero esprimeva qualche protesta. Quindi sopraggiungeva un altro “avviso urgente di sicurezza” e la situazione veniva riportata alla normalità. Anche nei giorni più caldi, con temperature superiori ai 30° all’ombra, non c’era elettricità per i frigoriferi, aria condizionata e fornitura d’acqua o altre necessità.
Per completare il quadro, le forze aeree israeliane hanno bombardato l’unica centrale elettrica della Striscia, cosicché per una parte della giornata non c’è elettricità ed è bloccata anche l’erogazione dell’acqua (che dipende dalle pompe elettriche) Nella West Bank, un territorio molto più vasto della Striscia di Gaza (che consiste solo del 6% dei territori palestinesi ma che comprende il 40% degli abitanti) la situazione non è così disperata. Ma nella Striscia, più della metà della popolazione vive al di sotto della “soglia di povertà” dei palestinesi, che si trova ovviamente molto, molto al disotto della “soglia di povertà” israeliana. Molti dei residenti di Gaza possono solo sognare di essere considerati poveri nella vicina città israeliana di Sderot. Che cosa stanno cercando di dire ai palestinesi i governi di Israele e degli Stati Uniti? Il messaggio è chiaro: arriverete al limite della fame, ed anche oltre, se non vi arrenderete. Dovete destituire il governo di Hamas ed eleggere dei candidati approvati da Israele e Stati Uniti. E, ancora più importante: vi dovete accontentare di uno stato palestinese che consista di varie enclavi, ognuna delle quali sarà completamente dipendente dalle tenere grazie di Israele. Al momento i direttori dell’esperimento scientifico stanno meditando su una sconcertante domanda: com’è possibile che i palestinesi resistano ancora a dispetto di tutto? Secondo tutte le regole avrebbero dovuto cedere da molto tempo! In realtà ci sono alcuni segnali incoraggianti. L’atmosfera di generale frustrazione e di disperazione crea tensione fra Hamas e Fatah. Qui è là avvengono degli scontri, alcuni sono uccisi e feriti, ma in ogni caso la frattura si blocca prima di trasformarsi in guerra civile. Migliaia di collaboratori di Israele stanno contribuendo a fomentare le cose. Ma contrariamente a tutte le aspettative, la resistenza non è svanita. Anche il soldato israeliano fatto prigioniero non è stato rilasciato.
Una delle spiegazioni ha a che fare con la struttura della società palestinese. L’Hamulah (la famiglia allargata) vi gioca un ruolo centrale. Finché almeno una persona lavora nella famiglia, anche i parenti non muoiono di fame, anche se c’è una malnutrizione generale. Chiunque abbia un reddito lo divide con tutti i suoi fratelli e sorelle, genitori, nonni, cugini e i loro figli. E’ un sistema primitivo ma abbastanza efficace in queste circostanze. Sembra che coloro che hanno pianificato l’esperimento non ne abbiano tenuto conto. Per affrettare il processo, da una settimana a questa parte si sta utilizzando di nuovo tutta la potenza dell’esercito israeliano. Per tre mesi l’esercito è stato impegnato nella Seconda Guerra Libanese. E’ diventato palese che l’esercito, che per gli ultimi 39 anni è stato utilizzato soprattutto come forza di polizia coloniale, non funziona granché bene quanto si trova improvvisamente a doversi confrontare con un avversario armato che può controbattere. Hezbollah ha usato armi anticarro mortali contro le unità blindate e i razzi piovevano nel nord di Israele. L’esercito ha dimenticato da molto tempo come si deve trattare con questo tipo di nemico. E la campagna non è finita bene.
Adesso l’esercito ritorna alla guerra che sa fare. I palestinesi della Striscia non hanno armi anticarro efficaci e i razzi Qassam causano soltanto danni limitati. L’esercito può ancora usare i carri armati contro la popolazione senza alcun ostacolo. La forza aerea che in Libano aveva timore di mandare gli elicotteri per trasportare i feriti, adesso può sparare missili sulle case di “persone ricercate”, sulle loro famiglie e sui vicini, a suo piacimento. Se negli ultimi tre mesi sono stati uccisi “solo” 100 palestinesi al mese, adesso siamo testimoni di un drammatico aumento del numero di palestinesi uccisi e feriti. Come può una popolazione stroncata dalla fame, senza medicinali ed attrezzature per i suoi rudimentali ospedali ed esposta ad attacchi di terra, mare e cielo, resistere ancora? Quando si spezzerà? Quando cadrà in ginocchio e chiederà pietà? O troverà una forza disumana per resistere al test? In breve: quanto e cosa serve per ottenere che un popolo si arrenda?
Tutti gli scienziati che prendono parte all’esperimento – Ehud Olmert e Condoleeza Rice, Amir Peretz e Angela Merkel, Dan Halutz e George Bush, per non menzionare il premio Nobel per la pace Shimon Peres – sono chini sul microscopio ed attendono una risposta, che senza dubbio darà un contributo importante per le scienze politiche.
Spero che il Comitato Nobel stia guardando.