TUTTE LE LINGUE PARLATE DA DIO. QUARTO ATTO DELL'INCONTRO TRA TEOLOGIA DELLA LIBERAZIONE E PLURALISMO RELIGIOSO
ADISTA n° 86 - 2.12.2006DOC-1804. ROMA-ADISTA. La sfida, ambiziosissima,
non è "soltanto" quella di promuovere un dialogo autentico tra
cristiani e seguaci di altre religioni - rinunciando alla pretesa del monopolio
su Dio o sulle interpretazioni della Verità - ma anche di far sì che questo
dialogo sia, in primo luogo, liberatore, gettando così le basi di una
"teologia liberatrice intercontinentale del pluralismo religioso". È
questo, specificamente, come indica nel prologo il teologo statunitense Paul
Knitter, l'obiettivo del quarto libro della collana che l'Associazione dei
teologi e delle teologhe del Terzo Mondo (Asett) dedica, con il titolo generale
(nell'edizione spagnola) "Por los muchos caminos de Dios", all'inedito
incontro tra Teologia della Liberazione e Teologia del Pluralismo religioso.
La posta dunque si è alzata ulteriormente rispetto ai primi tre volumi della
serie: dopo aver segnalato, nel primo, le principali sfide poste dal pluralismo
religioso alla Teologia della Liberazione (v. Adista 66/03); dopo aver tentato,
nel secondo, di offrire le prime risposte a tali sfide (v. Adista n. 46/05); e
dopo aver mosso i primi passi concreti verso la costruzione di una Teologia
latinoamericana pluralista della Liberazione (v. Adista n. 46/06), la collana,
in questa quarta e penultima tappa del percorso, oltrepassa l'ambito
latinoamericano per passare in rivista lo stato della Teologia pluralista della
Liberazione nei diversi continenti: ancora in America Latina (con interventi di
Faustino Texeira, Marcelo Barros, Diego Irarrázaval, Pablo Suess, Afonso Soares,
José María Vigil) e poi in Asia, dove non a caso la Teologia del Pluralismo
religioso ha ricevuto la spinta decisiva e dove, come scrive il teologo malese
Edmund Chia, l'esperienza del pluralismo religioso rappresenta "un elemento
costitutivo della psiche asiatica" (oltre a quello di Chia, il volume
racchiude gli interventi di K.C. Abraham, Ismael González Fuentes, Jonathan Tan
Yun-Ka, Raimon Panikkar, Tissa Balasuriya), in Africa (rappresentata solo da due
teologi, Mary Getui e Ramathate Dolamo), negli Stati Uniti (con l'intervento di
Dwight Hopkins sulle teologie delle minoranze, o "teologie del Terzo Mondo
all'interno dell'Unico Superpotere del Mondo"), in Europa e Nordamerica
(con Carlo Molari, Lieve Troch e Ricardo Renshaw).
La voce italiana, quella di Molari, si pone tuttavia su una linea più
tradizionale rispetto a quella portata avanti nell'intero volume: il teologo,
infatti, prende le distanze da quanti, ponendo "le religioni su uno stesso
piano", finiscono così per promuovere un "effettivo
relativismo", e distingue da questi (che definisce "relativisti")
i "pluralisti convergenti", che, al contrario, conferiscono una
decisiva importanza all'"evento Cristo", per mezzo del quale, afferma,
i cristiani "ricevono la Parola di Dio in una forma particolare, con la
quale sono in grado di cogliere le sintonie tra la propria tradizione e quelle
delle altre parole storiche". È di Carlo Molari, peraltro, anche l'ampio
epilogo dell'edizione italiana del secondo volume della collana, pubblicato
dalla Emi (che aveva tradotto anche il primo) con il titolo "I volti del
Dio Liberatore" (dopo aver tradotto i primi due libri della serie, pare che
la Emi abbia deciso tuttavia di non pubblicare i restanti tre).
L'ultimo passo della collana – ultimo, tuttavia, su una strada ancora tutta da
costruire – sarà, come spiegano nella presentazione i curatori José María
Vigil, Luiza Tomita e Marcelo Barros, quello dedicato a una possibile Teologia
multireligiosa e pluralista della Liberazione (in una prospettiva mondiale),
intesa come "qualcosa di più di una teologia diretta alla preoccupazione
del ‘dialogo interreligioso'", in quanto ne rappresenterà, piuttosto, il
prodotto, l'esito finale.
In questo stadio del cammino, quello che intanto si impone con la massima
chiarezza è l'importanza e l'urgenza di una riflessione sul tema del pluralismo
religioso, inteso come un nuovo paradigma teologico, come - scrive
nell'introduzione il teologo brasiliano Faustino Texeira - "una realtà
positiva all'interno del misterioso disegno di Dio". L'idea "che
un'unica tradizione religiosa sia capace di disporre di tutta la pienezza che
abbraccia la realtà ultima" è destinata, al di là di ogni possibile
resistenza, a segnare il passo: "le tradizioni religiose sono frammenti
incompleti e contingenti, in permanente cammino di perfezionamento e
apertura" e ogni frammento è portatore "di una singolarità
specifica, capace di sguardi inediti sulla realtà ultima, che molte volte
sfuggono al patrimonio disponibile in una determinata tradizione".
Non è tuttavia una riflessione indolore. È il concetto stesso dell'identità,
infatti, ad entrare in crisi con la Teologia del Pluralismo religioso: nate e
cresciute, ciascuna nella propria famiglia, come figlie uniche, le religioni,
spiega José María Vigil, si sono viste obbligate ad adeguarsi alla nuova vita
della famiglia umana globalizzata, vivendo fianco e fianco con molte nuove
sorelle e, di conseguenza, sentendo vacillare "l'identità millenaria che
avevano sempre sentito come propria". Eppure, sottolinea Vigil, l'identità
religiosa è dinamica, mobile, in continua evoluzione: "non esiste -
afferma - la identità cristiana, non esiste una identità cristiana, né
diacronicamente (nel corso della storia) né sincronicamente (in uno stesso
momento della storia)". Coloro che "fondano la propria vita cristiana
sul culto sacramentale", sulla fuga dal peccato mediante "una pratica
scrupolosa della morale ecclesiastica", vivono forse la stessa identità
cristiana di coloro che mettono al centro "l'impegno socio-politico per la
liberazione dei poveri?". È lo stesso Dio "quello di Bush e quello di
Pedro Casaldáliga?". E che dire delle differenze tra il paradigma
esclusivista, quello inclusivista e quello pluralista? Se è vero, afferma Vigil,
che tra esclusivismo e inclusivismo la distanza non è poi tanto grande (dal
momento che una religione inclusivista, per quanto ammetta la possibilità della
salvezza al di fuori dei propri confini, continua però a vedere se stessa, tra
tutte le religioni, come "la migliore, la principale o la fonte delle
altre, quella che le include tutte"), non è stata per questo meno forte
"la crisi che la rottura con l'esclusivismo ha causato alla Chiesa
cattolica in occasione del Vaticano II". Quanto cambierebbe, allora,
l'identità cristiana se il cristianesimo passasse dall'inclusivismo al
pluralismo?
Sono molti, infatti, gli elementi dell'identità cristiana che la Teologia del
Pluralismo religioso mette in discussione o che propone di riconsiderare o
riformulare: la Teologia pluralista comporta la rinuncia alla categoria del
popolo eletto, in quanto tutti i popoli sono ugualmente scelti ed amati da Dio;
pone tra parentesi molte sicurezze della missione, dal momento che, sottolinea
Vigil, in tutte le religioni vi è la presenza salvifica di Dio e che non si
tratta più solo "di portare la Buona Novella ma anche di ricevere le Buone
Novelle degli altri"; e, soprattutto, pone in discussione il dogma
cristologico, assolutamente centrale nel cristianesimo. Ed è proprio sul
necessario abbandono dell'approccio esclusivista e inclusivista, in direzione di
una cristologia pluralista, che si sofferma l'articolo del teologo dello Sri
Lanka Tissa Balasuriya, di cui riportiamo di seguito ampi stralci in una nostra
traduzione dallo spagnolo. (claudia fanti)
PERCHÉ UNA CRISTOLOGIA PLURALISTA IN ASIA
(…) Cristologia esclusivista
La teologia tradizionale cristiana su Gesù Cristo può essere chiamata
cristologia esclusivista, poiché limita la salvezza ai cristiani,
considerandola possibile soltanto per mezzo di Gesù Cristo, il necessario,
unico e universale salvatore di tutta l'umanità. Una teologia esclusivista
normalmente afferma che le altre religioni, per quanto possano presentare alcuni
elementi di verità, non mostrano "la verità", né mostrano una verità
capace di condurre alla salvezza i propri seguaci.
Per varie ragioni, questa cristologia esclusivista non è una teologia
accettabile per la grande popolazione asiatica, che presenta molti e
riconosciuti profeti e santi, una lunga tradizione storica, Scritture sacre e
una cultura religiosa sulla stessa linea degli insegnamenti di Gesù, come pure
il messaggio ispiratore e il servizio di santi missionari cristiani (…). In
ogni caso, per il momento, solo il 3-4% degli asiatici ha accettato il
cristianesimo.
1 - Il cristianesimo è debitore di una antropologia religiosa discriminatoria,
combinata con una soteriologia (insegnamento sulla salvezza) esclusivista. (…)
2 - L'interpretazione della vita, del messaggio e della morte di Gesù, mediante
la quale è stata data soddisfazione a Dio Padre per i peccati dell'umanità,
devia l'attenzione dal messaggio di Gesù di amore e giustizia in una società
ingiusta che lo ha condannato a morire in croce. Questa cristologia interpreta
generalmente la salvezza per mezzo di Gesù come quella di un Dio-Uomo che paga
il prezzo per l'ira di Dio-Padre. Questo sembrerebbe contraddire il tema
centrale del "Dio è amore" e dell'"ama Dio e il prossimo come
criterio di salvezza" attribuito a Gesù dai vangeli (…).
3 - Dopo la vita e la morte di Gesù, solo una piccola percentuale di asiatici
è appartenuta alla Chiesa. Gli asiatici avevano religioni molto sviluppate,
molto prima dell'arrivo del cristianesimo con le sue formulazioni teologiche
esclusiviste (…). Una teologia che discrimina negativamente la maggior parte
degli esseri umani del mondo non può venire da un Dio trascendente, che le
religioni asiatiche, nel loro migliore e più ispirato pensiero, contemplano
come un Dio di bontà e di giustizia per tutti. Questo è un criterio ad extra
della credibilità di questo modello cristologico esclusivista. Il modello
implicherebbe l'esclusione della grande maggioranza dell'umanità mondiale –
prima e anche dopo Cristo – dalla grazia salvifica che, si diceva, viene solo
da Cristo.
4 - La visione o il mito in base a cui Dio o una "Realtà trascendente
ultima" avrebbe condannato tutti gli esseri umani ad essere peccatori per
secoli prima della nascita di Cristo è impensabile nel nostro contesto
spirituale religioso asiatico (…). Tanto l'induismo come il buddismo non sono
capaci di concepire un inferno eterno disegnato da Dio per la maggior parte
dell'umanità. Il castigo eterno per qualunque essere umano è impensabile e non
è né umano né divino.
5 - Se l'insegnamento e la pratica esclusivisti della Chiesa hanno ispirato un
immenso esempio di bontà attraverso le sue missioni in tutto il mondo, allo
stesso tempo hanno giustificato le peggiori spoliazioni di terra e di ricchezze,
registrate per quattro secoli a partire dal 1492. Ciò è in relazione con il
maggiore genocidio conosciuto, fin dove arrivano i registri della storia. Intere
civiltà sono state sterminate dai cristiani nel Nord e nel Sud dell'America.
Allo stesso modo è stata giustificata la schiavitù fino al XVIII secolo.
6 - L'ingiusto sistema mondiale è stato costruito principalmente dai cristiani,
con gli europei che hanno preso possesso di gran parte della terra abitabile del
mondo. (…) Questo disordine mondiale è perpetuato dall'incubo della legalità
internazionale, dalla forza delle armi, dal dominio della manipolazione
finanziaria e culturale, soprattutto da gente che si definisce cristiana.
7 - La Chiesa non ha mai richiesto ai cristiani una compensazione per lo
sfruttamento dei popoli che hanno colonizzato (…). I cristiani santi per la
loro carità non sono stati campioni di giustizia mondiale e sociale, come si
vede nell'enciclica Deus Caritas est di Benedetto XVI.
8 - La cristologia esclusivista ha avuto un impatto negativo su quanti
gestiscono il potere nella Chiesa. Le loro interpretazioni hanno condotto ad
atteggiamenti di profonda arroganza e intolleranza delle potenti Chiese
cristiane. Sono state utilizzate per legittimare l'Inquisizione, le invasioni
coloniali, il multisecolare colonialismo. I papi hanno incoraggiato i capi di
Stato europei a invadere, conquistare e convertire al cristianesimo tutta la
gente di altri Continenti perché si salvasse l'anima.
L'incongruenza tra il cuore del messaggio cristiano di un Dio amore e le
esperienze vissute dai popoli oppressi sotto i dominatori cristiani durante
mille anni di schiavitù, crociate, intolleranza nei confronti degli altri,
invasioni coloniali e guerre implica un'interpretazione gravemente errata degli
insegnamenti di Gesù di Nazareth (…). La cristologia tradizionale
esclusivista non può venir riconosciuta come una teologia che abbia a che
vedere realmente con Gesù Cristo, per il danno causato alla maggior parte
dell'umanità per 1.500 anni. (…)
Cristologia inclusivista
(…) Alcuni teologi hanno tentato di trovare un cammino per la salvezza della
maggior parte dell'umanità, che nella prospettiva esclusivista sembra essere
condannata. Hanno creduto di intravedere una specie di porta di servizio perché
i non cristiani possano entrare nel cielo cristiano: dicono che le persone non
cristiane che conducono vite improntate al bene sono "cristiani
anonimi". (…) Ma ad altre religioni sembra che questa forma di teologia
riservi loro una specie di trattamento di seconda classe, una concessione
cristiana (…).
Le teologie esclusivista e inclusivista pretendono che Dio sia parziale e stia
dalla parte dei cristiani, ridimensionando il potenziale di rivelazione e
salvezza delle altre religioni. La teoria esclusivista e anche quella
inclusivista provengono da una distorsione del messaggio centrale di Gesù,
facendo dipendere la salvezza dal rito sacramentale del battesimo e
dall'appartenenza alla Chiesa. Questo è un ostacolo per una corretta e fedele
comprensione del discepolato di Gesù, che intende la vita secondo i valori
dell'amore, della verità, della giustizia, della condivisione, del perdono e
della pace che Gesù ha mostrato e messo in pratica fino alla sua morte.
Di fronte a tali considerazioni, le Chiese cristiane devono cercare di capire
come e perché hanno potuto sbagliare per tanti secoli su temi fondamentali come
quelli della condizione umana, della natura divina e del destino ultimo degli
esseri umani (…). Si può dire che con il dogma del peccato originale non c'è
possibilità per la teologia cristiana di elaborare un'interpretazione che non
offenda gli "altri" che sono fuori dalla Chiesa, le altre religioni.
Tale teologia poteva risultare accettabile solo all'interno di comunità e
culture stabilite dai cristiani, giacché pone a loro disposizione un cammino
magico di salvezza attraverso il battesimo dei bambini.
Solo una comprensione pluralista delle rivelazioni può essere accettabile per
l'umanità in un mondo nel quale la maggior parte degli esseri umani non è
cristiana. Questa può essere la base di un dialogo interreligioso e di una
convivenza pacifica globale.
Verso una Teologia pluralista nella sfida della realtà asiatica
(…) In Asia il problema intellettuale pratico è cercare di conciliare gli
apparenti opposti per analizzare la realtà. Se l'approccio razionale
dell'Occidente si orienta più verso una epistemologia di "o questo o
quello", dell'aut aut, si dice che l'Oriente sia più incline al questo e
quello, all'et et. Così, il cristianesimo occidentale è arrivato a definizioni
esclusiviste dogmatiche mediante la condanna, l'affossamento o la scomunica
degli avversari (anatema), mentre le religioni e le culture asiatiche tendono a
lasciare più spazio all'altro, al diverso, al dissidente, specialmente per
quanto concerne la speculazione sulla Realtà Ultima (Dio) (…). In generale,
l'ambiente percepito è di tolleranza e accettazione dell'altro, come hanno
insegnato Lao Tse, il Budda, le Upanishad, Gitanjali o Rabindranath Tagore.
Forse il Mahatma Gandhi è stato il miglior seguace pratico e teorico della
nonviolenza di Gesù nella sua vita politica pubblica, più di qualunque altro
santo cristiano, teologo o leader della Chiesa.
Una prospettiva pluralista delle religioni
Una cristologia pluralista deve porsi all'interno di una prospettiva pluralista
del religioso. Alcune considerazioni:
Tutte le religioni del mondo hanno un corpo di buoni insegnamenti e di pratiche
per una vita morale. Se non fosse così gli esseri umani non le avrebbero
seguite per millenni. Le religioni si interrogano sul mistero della vita e sul
suo significato ultimo. Tutte possono essere aperte al mistero, ma nessuna ha il
monopolio su di esso, perché il mistero è infinito.
Nessuna religione può avere la pienezza della verità sulla Realtà Ultima
Assoluta, perché ciò è al di là della capacità umana. Nessuna religione ha
il monopolio della conoscenza di Dio, della Realtà Ultima o della salvezza
umana e della vita dopo la morte. Tutte le religioni devono essere disposte ad
apprendere dalle altre, ad apprendere anche dalla società laica e persino
dall'evoluzione del mondo e dal suo progresso.
Le religioni devono accettare che vi siano modi diversi di
"descrivere" la Realtà Ultima. Ogni religione può essere fedele alle
proprie interpretazioni del divino senza rivendicare il controllo del divino.
Allo stesso modo, rispetto all'origine o alla vita dopo la morte, nessuna
religione può rivendicare una conoscenza assoluta di quello che è avvenuto
prima o di quello che avverrà dopo la morte di una persona. Le religioni
possono avere presentazioni diverse della propria comprensione del divino,
espresse in una diversità di linguaggi, forme d'arte, contesto culturale, riti
di culto, organizzazione comunitaria e sistema educativo. Più in là e più in
qua di tutto questo, possono unirsi in un servizio genuino e disinteressato alla
comunità umana. Qui si trovano il messaggio e la mistica più profondi della
maggior parte delle religioni.
Le religioni possono pensarsi complementari per il bene comune spirituale di
tutti, invece di considerarsi in competizione le une con le altre. Le religioni
mondiali hanno un insieme di valori centrali rispetto a cui possono essere
d'accordo e cooperare per la vita sociale pratica.
Le religioni sono i movimenti sociali mondiali più antichi e diffusi del mondo.
Ricevono l'adesione leale di masse di popolazione e sono radicate in gruppi
locali, comunità nazionali e reti mondiali. Insieme possono contribuire a
sviluppare un ordine mondiale di condivisione, giustizia e pace. Possono
promuovere i diritti umani a diversi livelli e lottare insieme per l'uguaglianza
tra i popoli, per il rispetto verso ogni persona senza distinzione di sesso, età,
classe sociale o casta, o a favore del commercio equo, della pace mondiale, del
controllo delle armi, del disarmo nucleare, della cura per il pianeta Terra.
Insieme possono essere i maggiori benefattori dell'umanità.
1. Tutte le religioni sono di fatto condizionate nei loro pensieri, espressioni
e azioni dall'ordine sociale dominante e dalla loro eredità culturale. Tutte le
religioni hanno bisogno di autocritica, autocorrezione e pentimento per i propri
errori, per esempio quello di aver favorito la superiorità maschile e
l'indifferenza per la giustizia di genere. Tutte le religioni meritano rispetto
e accettazione per il bene che ispirano e realizzano.
2. Il compito più importante delle religioni dovrebbe essere quello di
contribuire al miglioramento spirituale dei propri membri e della società in
generale. Dovrebbero essere meno preoccupate dai problemi esteriori, come i riti
del culto, la costruzione dei templi e delle chiese, l'organizza-zione legale
della comunità, la rivalità interreligiosa in termini di potere e di quantità
di membri e anche dalle formulazioni filosofiche delle teorie e dei dogmi.
Le campane del tempio e delle chiese sono diverse, possono suonare a ore diverse
e chiamare i fedeli a diversi servizi condotti da diversi sacerdoti. Ma il tono,
la musica sono gli stessi; la canzone liberatrice del Divino ci ricorda a tutti
la stessa verità eterna: che tutti siamo figli e figlie di Dio…
"Quello che manca in questo momento storico è passare dalla religione alla
spiritualità… Mantenendo l'identità delle nostre religioni, dobbiamo andare
al cuore del messaggio centrale di ognuna di esse e calare i temi dell'amore,
della verità, della giustizia, dell'uguaglianza nelle circostanze reali della
nostra vita. Questo può spianare il cammino verso una condizione di solidarietà
spirituale. Potrebbe offrirci la chiave per aprire le porte delle nostre
rispettive prigioni. Ma dipende da noi uscire e forgiare una nuova solidarietà
spiritulale che tocchi e trasformi la nostra società e fissi l'agenda per un
mondo nuovo e di speranza" (Swami Agnivesh).
Verso una cristologia pluralista
(…) a) Dovremmo cercare di presentare il cuore del messaggio di Gesù di
Nazareth a partire dalle sue parole e dalle sue azioni, principalmente quelle
che proclamano che Dio è amore e che ciò a cui siamo chiamati è ad amare Dio
e ad amare il prossimo come noi stessi. Possiamo cercare di articolare i valori
che Egli proclamò, vivendo e morendo per essi (…).
b) Il cammino che Gesù mostra per la salvezza umana è universale (Mt
25,31-46). "Avevo fame e mi avete dato da mangiare". Tutti gli esseri
umani possono seguire questo cammino, dentro o fuori della Chiesa. Gesù non ha
alcun monopolio sul cammino pe la salvezza umana. Prima che Gesù nascesse già
era operante la salvezza umana. Gesù ha mostrato un cammino, ma non lo ha
iniziato né lo ha aperto all'umanità.
c) Gesù non dovrebbe essere presentato come l'unico e universale salvatore di
tutta l'umanità per la caduta dell'u-manità nel peccato originale. Egli
presenta un unico cammino di salvezza che è aperto a tutti gli esseri umani di
tutti i tempi e che può essere anche mostrato dai leader di altre religioni,
forse con parole diverse. Questo cammino di amore per tutti porterebbe il Regno
di Dio sulla terra, e porterebbe anche la salvezza a tutti, con o senza
filiazione religiosa.
d) Quello che è importante per i discepoli è seguire gli insegnamenti di Gesù
sulla vita morale pratica, più che cercare di definirlo intellettualmente
secondo le categorie della filosofia greca, come sostanza, persona e natura
(…).
Gesù ha bisogno di essere liberato dalla cattività che soffre sotto la
cristologia tradizionale esclusivista (…). Egli mostra un cammino verso una
maggiore comprensione pluralista tra comunità di diverse religioni, per entrare
in un dialogo di vita e azione per un'umanità diversa, libera dal-l'oppressione.
Vi sono molti figli e figlie di Dio nella stessa missione di Gesù, che cercano
di spianare un cammino di amore e di servizio per tutti, al di là dell'egoismo
personale o di gruppo. Riconoscere queste molte persone non sminuisce in nulla
la filiazione divina di Gesù; è, semplicemente, un modo diverso di pensare
alla comunione dei santi. Lasciamo che una cristologia pluralista purifichi la
teologia e la vita cristiana e le renda più chiaramente simili a Gesù e a
Cristo. Lasciamo che Gesù sia Gesù, il messaggero dell'amore di Dio, il
liberatore dell'oppresso e il compagno nella costruzione di una Nuova Umanità.
Lasciamo che Dio sia Dio, un Dio che ama e si preoccupa di tutti al di là di
tutte le barriere costruite dagli esseri umani.