L'uguaglianza calpestata
di Stefano Rodotà
“la Repubblica” del 22 maggio 2008
chi è Stefano RODOTA'
Il caso ha voluto che l'annuncio del "pacchetto sicurezza" coincidesse con la discussione al
Parlamento europeo sugli immigrati in Italia, alla quale la maggioranza ha reagito condannandola
come una manovra contro il Governo. Brutto segno, perché rivela che non v'è consapevolezza della
gravità di quel che è accaduto a Ponticelli, con un assalto razzista che la dice lunga sulle
responsabilità dei molti "imprenditori della paura" all'opera in Italia. Invece di riflettere su un caso
che ha turbato l'Europa, ci si rifugia nella creazione di un nemico "esterno" dopo aver individuato il
nemico "interno" nell'immigrato clandestino, nell'etnia rom. Ma l'iniziativa europea non è
pretestuosa, perché i trattati sono stati modificati per prevedere un obbligo dell'Unione di
controllare se gli Stati membri rispettano i diritti fondamentali.
Una prima valutazione del "pacchetto" mette in evidenza, accanto all'opportunità di alcune singole
misure (come quelle relative all'accattonaggio e ai matrimoni di convenienza), una scelta marcata
verso la creazione di un vero e proprio "diritto penal-amministrativo della disuguaglianza".
Vengono affidati a sindaci e prefetti poteri che incidono sulla libertà personale e sul diritto di
soggiorno delle persone, con una forte caduta delle garanzie che pone problemi di costituzionalità e
di rispetto delle direttive comunitarie. Il diritto della disuguaglianza può manifestarsi anche
attraverso le norme che prevedono la confisca degli immobili affittati a stranieri irregolari e
disciplinano il trasferimento di denaro all'estero. Infatti, può determinarsi una spinta verso un
ulteriore degrado urbano, visto che gli irregolari saranno obbligati a cercare insediamenti di fortuna.
E la stretta sulle rimesse degli irregolari potrebbe far nascere forme odiose di sfruttamento da parte
di intermediari.
Lo spirito del pacchetto si coglie con nettezza considerando il reato di immigrazione clandestina. A
nulla sono servite le perplessità all'interno della maggioranza, i moniti del mondo cattolico (da
ascoltare solo quando invitano ad opporsi alle unioni di fatto e al testamento biologico?), le
osservazioni degli studiosi. Si fa diventare reato una semplice condizione personale, l'essere
straniero, in contrasto con quanto la Costituzione stabilisce in materia di eguaglianza. Si prevedono
aggravanti per i reati commessi da stranieri, incrinando la parità di trattamento con riferimento alla
responsabilità personale.
È inquietante la totale disattenzione per quel che ha già stabilito la Corte costituzionale, in
particolare con la sentenza n. 22 del 2007 che ha messo in guardia il legislatore dal prendere
provvedimenti che prescindano «da una accertata o presunta pericolosità dei soggetti responsabili»,
introducendo sanzioni penali «tali da rendere problematica la verifica di compatibilità con i principi
di eguaglianza e proporzionalità». Questa logica va oltre il reato di immigrazione clandestina,
impregna l'intero pacchetto, ignorando che «lo strumento penale, e in particolare la pena detentiva,
non sono, in uno Stato democratico, utilizzabili ad libitum dal legislatore».
Dopo aver annunciato una sorta di secessione dall'Unione europea, accusata di faziosità, il Governo
prende congedo dalla legalità costituzionale? Il Governo dovrebbe sapere che i suoi provvedimenti
possono essere cancellati da una dichiarazione di incostituzionalità. Rimarrebbe, allora, solo
l'"effetto annuncio" per gli elettori del centrodestra.
Così, neppure l'efficienza è assicurata. Un solo esempio. Tutti sanno che sono state presentate
728.917 domande di permesso di soggiorno (411.776 vengono da colf e badanti). I posti disponibili
sono 170.000. Una volta esaurite le pratiche burocratiche, dunque, rimarranno fuori 558.917
persone. Che cosa si vuole farne? Che senso ha, di fronte a questa situazione, parlare di reato e
abbandonarsi a proclamazioni «mai più sanatorie»?
Ora i governanti parlano di una attenzione particolare per le badanti, ma la soluzione non sta nella
ridicola procedura della legge Bossi-Fini, che subordina l'ingresso in Italia alla preventiva chiamata
di un datore di lavoro. Chi farebbe arrivare una badante, alla quale affidare funzioni di cura, senza
averla vista in faccia? Ed è inaccettabile la furbesca soluzione di far tornare: gli immigrati per una
settimana nel loro paese, farli poi chiamare dal loro attuale datore di lavoro e così farli rientrare
regolarmente. Ma che razza di paese è quello che dà una lezione di aggiramento delle leggi proprio
agli immigrati dai quali si pretende il rispetto della legalità?
Si dice: in altri paesi l'immigrazione clandestina è reato. Ma non si può usare la comparazione
prescindendo dal contesto costituzionale, dalle modalità che regolano l'accesso, dal sistema
giudiziario. Quali effetti avrebbe sul nostro sistema giudiziario e sulle carceri l'introduzione di quel
reato? Sarebbe insensato caricare le corti di diecine di migliaia di nuovi processi, condannando a
morte un processo penale già in crisi profonda e rendendo più complesse le stesse espulsioni. Le
carceri, già strapiene, scoppierebbero, o salterebbero tutte le garanzie facendo diventare i Cpt veri
centri di detenzione. E tutto questo per colpire persone considerate pericolose "a prescindere", quasi
tutte colpevoli solo di fuggire per il mondo alla ricerca di una sopravvivenza dignitosa. E la
promessa di accoglienza per le badanti "buone", lascia intravedere ritardi burocratici e possibili
arbitri. Si corre il rischio di avere norme, insieme, pericolose e inefficienti.
Queste contraddizioni nascono dal trascurare le diverse forme di sicurezza che proprio
l'immigrazione ha prodotto. Per le persone e le famiglie, anzitutto. Come ricorda Luca Einaudi nel
libro su "Le politiche dell'immigrazione in Italia dall'Unità ad oggi", le schiere delle badanti hanno
consentito di passare da un welfare sociale ad un welfare privato, diffondendo l'assistenza alle
persone al di là delle classi privilegiate. Vi è stata sicurezza anche per il sistema delle imprese,
provviste di manodopera altrimenti introvabile. E sicurezza per il paese, visto che è stato proprio il
contributo al Pil degli immigrati ad evitare rischi di recessione tra il 2003 e il 2005, a contribuire al
pagamento delle pensioni di tutti.
Detto questo, il tema dell'insicurezza non può essere affrontato ricordando solo che le statistiche
sull'andamento dei reati dimostrano, almeno in alcuni settori, una loro diminuzione. Il senso di
insicurezza non nasce solo dal diffondersi di fenomeni criminali, ma da una richiesta di protezione
contro un mondo percepito come ostile, contro presenze inattese in territori da sempre frequentati
da una comunità coesa, dunque contro mutamenti culturali. Che cosa fare?
Quando un sindaco coglie pulsioni profonde tra gli abitanti del suo comune, non può andare in
televisione dicendo «non chiedo la pena di morte, ma capisco chi la invoca». Deve piuttosto
evocare l'ombra di un Gran Lombardo e ricordare che Beccaria contribuì all'incivilimento del
mondo con le sue posizioni contro la pena di morte. Quando un sindaco vede a disagio i suoi
concittadini nella piazza del paese, non fa togliere le panchine per evitare che gli immigrati vadano
lì a sedersi. Quando le situazioni s'infiammano, non si propone un "commissario per i Rom",
confermando così l'ostilità contro un'etnia intera. Qui sta la differenza tra svolgere una funzione
pubblica e il farsi imprenditori della paura.
Nel discorso di presentazione del Governo, il Presidente del Consiglio ha sottolineato che «la
sicurezza della vita quotidiana deve essere pienamente ristabilita con norme di diritto che siano in
grado di affermare la sovranità della legge in tutto il territorio dello Stato». Ben detto. Si aspetta,
allora, una strategia di riconquista delle regioni perdute, passate sotto il controllo di camorra,
‘ndrangheta, mafia. Non è un parlar d'altro. Proprio la terribile vicenda napoletana ha messo in
evidenza il protagonismo della camorra, unico potere presente, imprenditore della paura che esercita
la violenza per accrescere la propria legittimazione sociale.
La discussione parlamentare deve ripulire il "pacchetto", concentrarsi sulla migliore utilizzazione
delle norme esistenti, sul rafforzamento delle capacità investigative, sull'adeguamento delle risorse.
Mano durissima contro le vere illegalità, contro chi sfrutta il lavoro nero e contro il caporalato,
contro le centrali del commercio abusivo, dell'accattonaggio, della prostituzione. Non ruolo da
sceriffo, ma capacità di mediazione da parte dei sindaci, incentivando le "buone pratiche" già in atto
in molti comuni.
Mi sarei aspettato qualche proposta complessiva del "governo ombra", non l'eterno agire di rimessa,
segno di subalternità. E i sondaggi siano adoperati ricordando la lunga riflessione sui plebisciti
come strumenti di manipolazione dell'opinione pubblica. Esempio classico: la richiesta ai cittadini
di pronunciarsi sulla pena di morte all'indomani di una strage. La democrazia è freddezza,
riflessione, filtro. Se perde questa capacità, perde se stessa.