Più che
all’aborto pensate ai bambini
di Chiara Saraceno
La Stampa 6 dicembre 2005
chi è Chiara SARACENO
Ci sono dei grandi assenti nella
campagna mediatica e politica scatenata in queste settimane contro l'aborto: i
bambini. Nonostante le accuse di assassinio, sterminio, strage di bambini, che
vengono sollevate contro la pratica dell'aborto, i bambini effettivamente nati e
in crescita sono fuori dall’attenzione. Tutti gli occhi sono puntati sulla
pancia gravida delle donne (molto meno sulle donne come tali e non solo come «uteri
che camminano»), sugli embrioni, sui feti. Basta che nascano, sembra, e tutto
è fatto. Una volta nati, i bambini spariscono dalla preoccupazione collettiva.
Come nelle favole, sembra di capire, dopo «vissero tutti felici e contenti».
Così, non crea scandalo che avere un figlio rappresenti ancora per molte donne
un handicap grave agli occhi di molti datori di lavoro e che per molte donne
immigrate proprio le condizioni di lavoro rendano impossibile avere un figlio,
esattamente come avveniva alle domestiche di un tempo. Non preoccupa che con
l'espansione dei contratti di lavoro cosiddetti atipici molte donne siano
escluse di fatto o di principio dai congedi di maternità.
Ma soprattutto non crea
altrettanto - se non più - attenzione e scandalo dell'aborto che un quarto dei
bambini nel Mezzogiorno viva in povertà e che nel nostro paese se si è poveri
da bambini si ha una altissima probabilità di rimanerlo a lungo. Più in
generale, non crea scandalo il fatto che il nostro sia uno dei Paesi occidentali
e democratici in cui le disuguaglianze di partenza, cioè nelle origini
famigliari, hanno maggior peso sul destino degli individui, a prescindere dalle
capacità individuali. Perché non vi sono politiche sociali adeguate, sotto
forma di trasferimenti di reddito e di servizi, che attenuino queste differenze.
Solo questa disattenzione per i bambini può spiegare la risibilità delle
proposte che vengono avanzate sia dalla maggioranza sia, spiace dirlo, anche
dall'opposizione, per favorire la scelta di avere un figlio: dai bonus una
tantum alla nascita (con esclusione per altro delle immigrate) ad assegni di
gravidanza per le donne più povere, che cessano, appunto, alla nascita. C
ome se il problema, per una donna,
fosse solo quello di avere abbastanza soldi per portare avanti una gravidanza e
non soprattutto quello di poter mantenere adeguatamente, e per diversi anni, il
figlio che nascerà. E come se, appunto, ad un bambino bastasse nascere per
diventare un uomo, o una donna. Purtroppo, invece, l'amore basta, anche se è
necessario come il pane. Al punto che, se non c'è, forse è meglio non nascere.
Più che di una indagine sull’applicazione della legge 194 ci sarebbe bisogno
di una bella indagine parlamentare sulle difficoltà che in Italia si
frappongono alla libertà di scelta di procreare, sui costi sostenuti da chi
(soprattutto le donne) fa questa scelta e sugli effetti delle disuguaglianze
sociali alla nascita.
Ma una indagine di questo genere metterebbe in luce troppe contraddizioni negli stessi programmi politici e toccherebbe troppi interessi (nel sistema di welfare, nella organizzazione del lavoro, nella individuazione delle priorità). Meglio quindi trovare qualche capro espiatorio (i consultori, le donne che abortiscono) e fare qualche elemosina una tantum.