PERCHÈ LE DONNE SI SONO RIPRESE LA PAROLA
Chiara Saraceno
La Stampa 6-2-2008
chi è Chiara SARACENO
Dopo settimane di continuo, violento attacco al
diritto delle donne di decidere se portare a termine una gravidanza da parte sia
dei massimi vertici della Chiesa cattolica che dei vari teodem e teocon, le
donne si sono ripresa la parola e lo spazio pubblico da cui di fatto
quell’attacco cerca di estrometterle. Prima ancora che una manifestazione a
difesa della legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza, la
manifestazione spontanea di giovedì è stata la rivendicazione del diritto
prioritario delle donne a decidere su ciò che riguarda innanzitutto loro e che
per esistere deve passare attraverso il loro consenso e accoglimento.
Di fronte al silenzio imbarazzato dei partiti, incluso il Pd, timorosi di
urtarsi con la Chiesa e per questo troppo spesso dimentichi della necessità di
difendere i diritti civili, a partire da quello fondamentale dell’habeas
corpus, le donne che sono scese in piazza ricordano che il corpo delle donne non
è, come denunciava già anni fa la filosofa tedesca Barbara Duden, luogo
pubblico, su cui tutti, salvo loro stesse, hanno diritto di intervenire. La
mediazione necessaria del corpo femminile per mettere e venire al mondo non può
che passare dal riconoscimento della libertà e della dignità femminile. La
manifestazione di giovedì reagisce alla degenerazione del dibattito pubblico
attorno alla questione dell’aborto, che ha raggiunto nel nostro Paese
impensabili abissi d’inciviltà e mancanza di rispetto per le donne e le loro
scelte difficili. È vero che i teodem, che fino a ieri appoggiavano
entusiasticamente Ferrara, al punto che sembrava volessero farlo «santo subito»
cominciano a prendere cautamente le distanze rispetto alla sua lista pro-life.
E l’Osservatore Romano addirittura raccomanda di abbassare i toni e evitare «strumentalizzazioni
ad uso elettorale sui temi etici», auspicando un «dibattito sereno e obiettivo».
Ma non possono facilmente chiamarsi fuori dalla responsabilità di aver creato
questo clima violento, che pretende di zittire chi la pensa diversamente
sull’esistenza di una vita umana fin dal concepimento e ha ridotto tutta la
discussione sul diritto alla vita al diritto dell’embrione. Non si sente
infatti, da parte di questi difensori degli embrioni, un’indignazione, una
proposta di mobilitazione, neppure vagamente paragonabile per le condizioni di
povertà, malattia, sfruttamento in cui si trovano a vivere molti bambini e alla
violenza e negazione di sé cui sono condannate le donne in molte parti del
mondo. La vita sembra contare ed evocare solidarietà solo prima che ci siano
esseri umani in carne ed ossa. Poi diviene molto meno importante, se non
irrilevante. Molte delle donne che sono scese in piazza sono madri, figlie,
compagne, che quotidianamente costruiscono le condizioni di una vita decente per
i loro figli, mariti, compagni, genitori anziani, nella cura quotidiana
richiesta dalla riproduzione della vita. Sono scese in piazza perché loro e le
altre possano continuare a farlo liberamente. C’è ancora molto da fare perché
le condizioni di questa libertà siano garantite nel nostro Paese. Ma l’ultima
cosa da fare è obbligare le donne a mettere al mondo un figlio che non vogliono
o non possono avere, mettendo sotto tutela il loro corpo e impedendo loro di
decidere su di sè.