HOME PAGE CDB CHIERI 

 

La nascita di Gesù. Una nuova visione

 

John Shelby SPONG

 

Tratto da: Adista Documenti n° 1 del 13/01/2018

Di seguito, alcuni stralci tratti dal libro di John Shelby Spong La nascita di Gesù tra miti e ipotesi, curato da Ferdinando Sudati ed edito da Massari (pp. 192, 12 euro– precisamente dall’appendice costituita da una selezione delle lettere a cui l’autore risponde (e che, come nota Sudati, assume di fatto la stessa importanza del testo principale)

 

D. Sono un cristiano progressista, un seguace del suo insegnamento e di quello del mio pastore. In verità, lei ha visitato la nostra chiesa e io l’ho sentita parlare di persona. È stata una bellissima esperienza per me. Il problema che ho in queste feste di Natale è che lo studio e la musica tradizionale del Natale e le immagini non vanno d’accordo tra di loro. Quando partecipo alle forme tradizionali della liturgia e dell’immaginario del Natale, ho la sensazione di venire meno alla mia preparazione intellettuale. Mi può suggerire come posso fare per godermi sia la dottrina sia le tradizioni del Natale senza sentirmi in conflitto? (Charles Brittain da Oklahoma City - Oklahoma)

R. Caro Charles, grazie per la domanda, che è perfetta per la rubrica che esce alla vigilia di Natale. Non c’è dubbio che molti hanno preso alla lettera le immagini usate da Matteo e da Luca nei loro racconti della nascita di Gesù (Mt 1-2 e Lc 1-2), ma io credo che sia abbastanza chiaro che né Matteo né Luca le hanno pensate come descrizioni da prendere alla lettera. La grande maggioranza degli studiosi della Bibbia condivide questa prospettiva. 

La realtà è che le stelle non solcano il cielo a una lentezza tale che uomini sapienti possano tenere il passo con loro; gli angeli non irrompono dal cielo di mezzanotte per cantare ai pastori di collina; e gli esseri umani non seguono le stelle per rendere omaggio a un neonato, re di una nazione straniera, soprattutto quando lo stesso vangelo che racconta questa storia dice anche che Gesù era figlio di un falegname. (...). 

Una stella non porta dei magi lungo una strada carrettiera a sei miglia da Gerusalemme e poi non avvolge la casa in cui si trova il bambino di una luce celestiale per mostrare a questi magi dove troveranno il bambino che cercano. (...). 

Le vergini non concepiscono tranne che nei miti, e di questi ce n’era una gran quantità nel mondo mediterraneo. I re non ordinano alla gente di tornare alla patria degli antenati per sottoporsi a censimento. Poiché i discendenti di Davide in circa un millennio si conterebbero oltre il miliardo, non è pensabile che si rechino neanche in minima parte a Betlemme!

Un uomo non porta la moglie, che è «grossa per il bambino», a fare 94 miglia da Nazareth a Betlemme a dorso d’asino, in modo che il messia atteso possa nascere nella città di Davide. Una teologa laica cattolica ha detto di questo racconto: «Solo un uomo che non ha mai avuto un bambino può aver scritto questa storia!».

Nessun re massacra tutti gli infanti maschi di una cittadina nel tentativo di sbarazzarsi di un pretendente al suo trono, specialmente se tutti in quella località avrebbero dovuto sapere esattamente qual era la casa su cui si era fermata la stella e dov’erano entrati i magi. L’ubicazione del «pretendente» al trono di Erode non sarebbe stata difficile da individuare, se si fosse trattato di una storia letterale realmente accaduta.

Di sicuro, sia Matteo che Luca erano consapevoli del fatto che stavano usando quelle storie nel tentativo di dar conto della potenza di Dio che era stata percepita nella vita adulta di Gesù di Nazareth. Matteo trasse la storia degli uomini sapienti da Isaia 60, dove si diceva che i re vennero a cavallo di cammelli «allo splendore del sorgere della luce di Dio». Vennero portando in dono oro e incenso. Matteo ampliò questa storia con dettagli tratti da altre narrazioni bibliche, come la visita della regina di Saba al re Salomone e il carico di spezie (la mirra), che portava con sé (1Re 10) e la storia di Balaam e Balak da Numeri 22-24 in cui una stella apparsa in Oriente gioca un ruolo di primo piano.

Anche in alcuni scritti ebraici della tradizione si fa uso di una stella nel cielo per annunciare la nascita dei loro grandi eroi, Abramo, Isacco e Mosè.

Matteo ha confezionato la propria interpretazione intorno alla ben nota storia di Mosè. È questo il motivo per cui ha ripetuto la storia del faraone che uccide i neonati maschi d’Egitto al tempo della nascita di Mosè, trasformandola nella storia di Erode che uccide i bambini maschi di Betlemme al tempo della nascita di Gesù.

Ecco che cosa gli evangelisti attraverso queste narrazioni volevano proclamare:

1. La vita umana non avrebbe potuto produrre la presenza di Dio che la gente credeva di aver incontrato in Gesù.

2. L’importanza della sua nascita era simboleggiata dal fatto di essere annunciata da segni celesti, una stella in Matteo e angeli in Luca.

3. Nella vita di Gesù essi credevano che il cielo e la terra si fossero incontrati e si fossero fuse la divinità e l’umanità.

4. Il Messia per gli ebrei aveva molte sfaccettature. Il Messia doveva essere sia un nuovo Mosè sia l’erede al trono di Davide. Il parallelismo con Mosè è nella storia di Gesù portato da Giuseppe in Egitto, in modo che Dio lo potesse chiamare come Dio aveva chiamato Mosè dall’Egitto. D’altra parte, Davide e la sua discendenza sono stati il motivo per cui la nascita di Gesù è stata situata nel luogo di nascita di Davide (Betlemme) invece che a Nazareth, dove Gesù con ogni probabilità era nato.

5. Questo Gesù trae a sé tutto il mondo, perfino il mondo pagano dei magi, come le umili vite dei pastori.

Questi sono i dettagli interpretativi dei miti cristiani. Furono introdotti tutti nella fede cristiana solo nel nono decennio. Nessuno appartiene ai tempi in cui c’era memoria diretta di Gesù. Né Paolo né Marco ne avevano mai sentito parlare. Giovanni, il cui vangelo è l’ultimo a essere scritto, deve aver saputo di queste tradizioni della nascita, ma non le include e, in due occasioni, nomina Gesù dicendolo figlio di Giuseppe (Gv 1 e 6).

Alla luce di questi dati, è chiaro che gli autori dei racconti del Natale nella Bibbia non pensavano che le cose che scrivevano fossero un resoconto storico letterale. Stavano interpretando il significato che avevano trovato in Gesù. (...).

Per quanto ne so, gli adulti non credono che ci sia letteralmente un Polo nord abitato da un allegro folletto di nome Babbo Natale, che lega le renne alla sua slitta carica di giocattoli per portare doni a tutti i bambini del mondo la vigilia di Natale. Eppure ancora cantiamo «Rudolf, la renna dal naso rosso» e «Babbo Natale arriva in città» senza complicazioni cervellotiche.

Il mio suggerimento è di tenere separata la fantasia dalla storia e poi entrare nell’immaginario festivo e goderselo. Sogni la pace sulla terra e la buona volontà tra gli uomini e le donne, e poi si dedichi a realizzare quella visione. In questo modo capirà le intenzioni degli scrittori dei vangeli. Grazie per la lettera. Si goda le vacanze e Buon Natale.

John Shelby Spong - 24 dicembre 2009

D. Come c’entra la Trinità nella vera umanità di Gesù per una nuova storia della fede? (Thelma Clarage da Gladstone - Michigan) R. Cara Thelma, per prima cosa, le voglio dire che il nome Thelma ha un profondo significato per me. Una donna di nome Thelma Denson di Tarboro, North Carolina, è stata la madrina della mia figlia mediana Katharine e con il suo amore da allora mi ha cambiato per sempre il significato del termine «madrina». Così avverto un calore ogni volta che sento quel nome. Grazie per avermi riportato quel ricordo. (...).

Per arrivare alla sua domanda, dobbiamo prima riconoscere che la Santa Trinità non è una descrizione di Dio, ma la descrizione di un’esperienza umana di Dio. La Santa Trinità è una dottrina, adottata dalla Chiesa cristiana nel IV secolo come un modo di trattare e comprendere l’esperienza con Dio. È un prodotto del pensiero dualistico greco che separava Dio dall’umanità, il sacro dal profano, la carne dallo spirito e il corpo dall’anima. Era una mentalità culturale e nessuno in quel periodo della storia sapeva fare un passo fuori di quel quadro di riferimento.

Tuttavia, tale quadro di riferimento è morto nel periodo storico che chiamiamo Illuminismo, lasciando i cristiani moderni con l’impossibile compito di accordare una dottrina del IV secolo a una visione del mondo del XXI secolo da cui non proviene e alla quale non può parlare.

Ciò significa che l’esperienza trinitaria sia sbagliata? No, non penso che significhi questo, ma significa che il linguaggio trinitario, che usiamo quando cerchiamo di rapportarci con l’esperienza trinitaria, è semplicemente inappropriato. Quando torniamo al vocabolario trinitario scopriamo che ciò che stiamo cercando di fare è di trovare le parole che spieghino quella capacità umana di scoprire ciò che è «l’Oltre in mezzo a noi». Ciò che noi chiamiamo Dio è al di là di tutte le categorie che la mente possa creare. Dio è la realtà suprema che la mente umana possa comprendere, e mai lo fa se non in parte; la parola trinitaria per questo è «Padre», la fonte, ciò che dà origine a tutto ciò che è. Sperimentiamo Dio anche come la profondità suprema di significato che contiene; questo è ciò che il simbolo «Spirito Santo» rappresenta. Infine, sperimentiamo Dio che viene a noi da altre vite e soprattutto attraverso la vita di colui che chiamiamo Cristo; questo è ciò che il simbolo «Figlio» rappresenta. Così, la Santa Trinità è un tentativo di dare forma razionale alle nostre esperienze di Dio. Non è un credo da esser creduto ma un’esperienza da compiere.

Il problema più grande nell’interpretare una dottrina come quella della Santa Trinità è che è stata inquadrata sullo sfondo del pensiero dualistico greco del IV secolo. Non è questo il quadro di riferimento dei ragionamenti dei nostri tempi. Io, per esempio, di sicuro non penso al divino e all’umano come categorie distinte e che si escludono a vicenda. Le vedo, piuttosto, olisticamente, come su una scala o spettro. La via per entrare nella divinità, io credo, è di entrare nella pienezza dell’umano. Io non immagino Dio come esterno al mio mondo. La realtà di Dio per me si trova sempre non al di fuori della vita, ma nel profondo della vita stessa. La divinità è la pienezza dell’umano. Possiamo parlare del Santo solo da dentro le esperienze dell’umano. Un giorno la Chiesa cristiana sarà costretta a ripensare tutti i suoi costrutti teologici nei termini della nostra visione contemporanea del mondo. La realtà di Dio sarà ancora eterna, ma il modo in cui spieghiamo questa realtà è sempre transitorio. I costrutti teologici dell’antichità, come la dottrina della Santa Trinità, saranno sempre onorati e rispettati, ma le loro parole inevitabilmente col tempo diventeranno estranee al mondo in cui viviamo, perché quelle parole si sono formate in un’epoca che non esiste più. La Santa Trinità è un tentativo umano di spiegare la verità eterna di Dio. Questo compito non sarà mai adempiuto. Il tempo ha il modo di far sembrare rozze tutte le spiegazioni dell’antichità. Una Chiesa che letteralizzi le proprie spiegazioni sarà una Chiesa che muore quando tali spiegazioni muoiono.

John Shelby Spong - 21 maggio 2015

D. Che cosa c’è in questo Gesù che lei trova così affascinante? Quando sento la storia di Natale della Bibbia penso di ascoltare una favola. Le stelle non annunciano la nascita di un essere umano. Gli angeli non cantano a pastori su una collina. Le vergini non concepiscono e non partoriscono. C’è qualcosa dietro la vecchia mitologia che mi manca? Può ancora, in tutta onestà, riferirsi a Gesù come al «figlio di Dio»? (Katherine da Richmond - Virginia)

R. Cara Katherine, grazie per le sue domande. Non solo sono importanti, ma mi danno la possibilità di articolare le mie convinzioni più profonde su questo Gesù nella rubrica che uscirà per gli abbonati la vigilia di Natale. Così strutturerò la mia risposta per lei in forma di meditazione di Natale, perché questo Gesù mi ha sempre affascinato e anche attratto. La definizione più profonda che do di me stesso è che sono cristiano, e con questo intendo dire che in Gesù di Nazareth credo di vedere il significato di Dio in modo più chiaro. L’esperienza di una presenza divina dirompente è ciò che credo abbia creato le tradizioni di Natale cui lei fa riferimento nella sua domanda. Certamente durante queste festività sono onnipresenti.

È stato più di duemila anni fa che è vissuto il personaggio storico che chiamiamo Gesù. È stata una vita di durata relativamente breve, solo trentatré anni. Al massimo solo tre di quegli anni sono stati destinati a una carriera pubblica. Eppure, quella vita sembra essere stata fonte di meraviglia e di forza per chi lo ha conosciuto. È stato circondato di racconti che parlano di un potere miracoloso. Si è creduto che dalle sua labbra fluissero parole di comprensione e di saggezza. Amore e libertà sono le qualità che sembrano aver segnato la sua esistenza. Uomini e donne sono stati chiamati in vita da lui. Coloro che erano carichi di colpa scoprirono, in qualche modo, la gioia del perdono in lui. Il solo, l’insicuro, il deforme e lo storpio trovarono che era una fonte di pace. Possedeva il coraggio di essere chi era. Egli è descritto in termini che lo ritraggono come un uomo incredibilmente libero.

Gesù sembra non aver avuto alcuna necessità interiore che lo spingesse a dare prova di sé: niente ansie che convogliassero la sua attenzione su di sé. Sembra piuttosto che avesse una capacità straordinaria di far dono della propria vita. Dava amore, dava identità, dava libertà, e li dava abbondantemente, prodigalmente, esageratamente.

Le vite toccate dalla sua vita non erano più le stesse. In qualche modo il segreto della vita, il suo vero scopo, sembrava essere rivelato in lui. Quando la gente lo guardava era come se fosse in grado di vedere oltre lui, e anche attraverso lui. Vedevano nella sua vita la Fonte di tutta la vita che li espandeva. Vedevano nel suo amore la Fonte dell’amore e la speranza della propria realizzazione. Questo tipo di potere trasformatore era qualcosa che non avevano mai conosciuto prima.

La libertà fa sempre paura. Le persone cercano la sicurezza in regole che limitano la libertà. Così i suoi nemici cospirarono per eliminare lui e la minaccia che rappresentava per loro. Da un certo punto di vista si potrebbe dire che lo hanno ucciso. Quando si guarda più da vicino la storia, però, forse è più esatto dire che trovò in sé la libertà di dare la propria vita e di farlo deliberatamente. Morì curandosi di coloro che gli presero la vita. In quel momento manifestò un amore capace di abbracciare tutte le ostilità della vita umana senza permettere a tali ostilità di compromettere la sua capacità di amare. Dimostrò piuttosto tragicamente che non c’è nulla che una persona possa fare o essere che alla fine la renda indegna di amore o di perdono. Anche quando una persona distrugge il datore della vita e dell’amore, non cessa di essere amata dalla Fonte dell’amore o di essere chiamata in vita dalla Fonte della vita. Questo era il suo messaggio, o almeno ciò che la gente credeva di avere incontrato in questo Gesù. Una tale vita non poteva non trascendere i limiti umani. Poiché questo tipo di amore non può mai essere sopraffatto dall’odio, questa vita non può mai essere alla fine distrutta dalla morte.

C’è da meravigliarsi che la gente abbia spezzato le barriere della lingua quando ha cercato di dare un senso razionale a questa esperienza di Gesù? Lo chiamavano il Figlio di Dio. Hanno detto che in qualche modo Dio era in lui. Così profondamente la gente credeva queste cose che il modo in cui percepiva la storia è stato cambiato da lui. Fino a oggi datiamo ancora la nascita della nostra civiltà dalla nascita di questo Gesù. Essi credevano che egli fosse in grado di dare amore e perdono, accettazione e coraggio. Credevano che avesse il potere di riempire la vita pienamente. Dal momento che le persone tendevano a definire Dio come la Fonte della vita e dell’amore, hanno cominciato a dire che in questo Gesù umano era implicato il Dio santo.

Quando cominciarono a scrivere di questa esperienza trasformante ebbero di fronte un problema. Come poteva la mente umana, che non può che pensare usando il vocabolario umano, dilatarsi tanto da abbracciare la presenza di Dio che essi avevano sperimentato in questa vita? Come potevano semplici parole essere abbastanza grandi da catturare questo significato divino?

Inevitabilmente, appena si misero a scrivere scivolarono nella poesia e nelle immagini. Quando questa vita entrò nella storia umana, dissero, anche i cieli si rallegrarono. Una stella apparve nel cielo. Un esercito celeste di angeli cantò osanna. I pastori della Giudea vennero a vederlo. Magi orientali partirono dalle estremità della terra per adorarlo. Poiché erano certi di avere incontrato la presenza di Dio in lui, dedussero che Dio doveva essere stato suo padre, in un qualche modo unico. Furono, certamente, riferimenti umani, ma è tutto ciò che noi esseri umani abbiamo a disposizione.

La vita come noi la conosciamo, si dissero, non potrebbe mai aver prodotto ciò che abbiamo trovato in lui. È per questo che crearono tradizioni della sua nascita capaci di spiegare il potere che da adulto in lui avevano trovato.

Il nostro mondo moderno – molto meno misterioso – legge queste narrazioni della nascita e, assumendo una letteralità del linguaggio umano che gli scrittori biblici non hanno mai inteso, dice: «Che cosa ridicola! Che cosa incredibile! Cose del genere semplicemente non accadono. Le stelle non appaiono improvvisamente nella notte per annunciare una nascita umana. Gli angeli non intrattengono i pastori sul pendio di un colle con canti celesti. Le vergini non concepiscono. Queste cose non possono essere vere».

A un certo livello, queste critiche sono appropriate. Cose del genere non accadono in senso letterale. Ma questo significa che l’esperienza, per comunicare la quale fu creato questo linguaggio estatico, non fosse un’esperienza reale? Io non la penso così.

È giunto il momento che noi cristiani, quando cerchiamo di parlare di Dio, affrontiamo senza metterci sulla difensiva l’inadeguatezza del linguaggio umano. Quelle storie non furono pensate per esser prese alla lettera. Le scrissero coloro che furono toccati da questo Gesù. Per tale ragione sfidano la nostra immaginazione e suonano così fantasiose e irreali. La verità letterale cedette il posto a immagini interpretative.

Quando la vita incontra Dio e trova compimento, si scorgono cose mai viste prima, si conosce una gioia mai sperimentata prima, e ci si aspetta che il cielo canti e danzi in festa. Le nostre menti però sono così legate alla terra che la nostra immaginazione si è impoverita.

Il racconto di Natale, com’è narrato dagli evangelisti, ha un significato che va oltre il raziocinio e una verità che va oltre la scienza. Indica una realtà che nessuna vita toccata da questo Gesù potrebbe mai negare. La bellezza della nostra storia di Natale è più grande di quanto possiamo abbracciare con la nostra mente razionale. Perché quando si conosce questo Gesù, quando si sperimentano l’amore, l’accettazione e il perdono, quando diventiamo persone complete, libere e confermate, i cieli cantano veramente «gloria a Dio nel più alto», e sulla terra c’è «pace per gli uomini di buona volontà». Quindi, noi cristiani gioiamo della trascendente bellezza e meraviglia di questa storia di Natale. Per quanto riguarda coloro che non hanno mai messo un piede dentro questa esperienza, li invitiamo a venire dove siamo noi e a guardare attraverso i nostri occhi questo bambino di Betlemme. Allora, forse anche loro si uniranno a quelli di noi che leggono questi racconti di Natale anno dopo anno a un solo scopo: adorare il Signore della vita che ancora ci rende liberi e che ci chiama a vivere, ad amare e a essere tutto ciò che possiamo essere. Ecco perché l’invito di Natale è così semplice: Venite, venite, adoriamolo.

Come facciamo ad adorarlo? Nella mia mente la risposta a questa domanda è chiara. Io lo adoro non diventando religioso o diventando un missionario che cerca di convertire il mondo alla mia comprensione di Gesù. Lo faccio piuttosto dedicando le mie energie al compito di costruire un mondo in cui tutti, in tale mondo, possano avere l’opportunità di vivere più pienamente, amare più generosamente e avere il coraggio di essere tutto ciò che sono stati creati per essere. Questo è l’unico modo che conosco per riconoscere la Fonte della vita, la Fonte dell’amore e il Fondamento dell’essere che credo di aver sperimentato in questo Gesù. Come si può adorare la Fonte della Vita se non vivendo? Come si può adorare la Fonte dell’amore se non amando? Come si può adorare il Fondamento di tutto l’essere se non avendo il coraggio di essere tutto ciò che si può essere? Non è possibile cercare questi doni per sé e poi negarli a ogni altra vita. Quindi il nostro compito come discepoli di Gesù è di vivere pienamente, amare prodigalmente ed essere tutto ciò che possiamo essere, mentre cerchiamo di mettere in grado ogni altra persona, nell’infinita varietà della nostra umanità, di vivere pienamente, amare generosamente ed essere tutto ciò che ogni persona può essere. Ciò significa anche che non possiamo tollerare alcun pregiudizio che potrebbe nuocere a un altro e che non possiamo rifiutare l’altro sulla base di una qualsiasi caratteristica esterna, che si tratti di razza, etnia, genere od orientamento sessuale.

Mi sembra tutto così semplice. Dio era in Cristo. Questa è l’essenza di ciò che credo di questo Gesù. Le auguro un Natale benedetto e santo.

John Shelby Spong - 22 dicembre 2016